La seconda parte del racconto di
“Velletri Eroica” che avrebbe dovuto uscire sul settimanale “Milleluci”, subito
dopo le elezioni, ma per motivi sconosciuti (molto probabilmente economici) il
numero non uscì. Ho provveduto io a rimediare per i miei più affezionati
lettori, che ringrazio vivamente di cuore.
Guido Di Vito
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Terminata la tempesta dei bombardamenti
Finita la tempesta delle bocche di fuoco dei cannoni delle
navi ad Anzio ed i raid aerei dei “Liberatori”, Velletri si presentava in un
ammasso di macerie. Attraverso i documenti del momento (e non solo) si
descriveranno i danni causati dalla guerra e dai terribili combattimenti svoltisi
nel vasto territorio. Dalle parole dell’ing. Andrea Angeloro del Genio Civile
di Roma, venuto a Velletri con una agguerrita e valente schiera di tecnici,
parole stampate su le pagine di una sua conferenza, si trovò di fronte ad un
disastro senza limiti, mai visto, davanti ad una visione terribile,
apocalittica, raccapricciante. Operò subito con coraggio e competenza, con
abnegazione ed entusiasmo. Prese veramente a cuore le sorti della disgraziata e
martoriata Velletri. Scorrendo le pagine della sua conferenza (scrive Renato
Guidi) nella sua “Velletri Eroica”; apprendiamo commossi, ancora oggi come si
presentò, al suo occhio esperto di tecnico, la città di Velletri, subito dopo
il passar della guerra.
Foto simbolo dei bombardamenti subiti dalla città: La fontana del Reinaldi centrata in pieno da una bomba d'aereo |
Queste sono le impressioni che contano, le più veritiere,
perché le prime, davanti ad uno spettacolo di macerie, ad un popolo ancora in
gramaglie, avvilito dalla sventura e dalla miseria, la più nera. A distanza di
anni, ci si stenta a credere e può considerarsi diversamente tanto sacrificio.
Questi però sono i documenti seri, sinceri che vanno
esaminati e ricordati. Egli ad un punto della sua relazione dice: <<Chi,
come me, venne a Velletri alla fine del giugno 1944, rimase con un nodo alla
gola e con gli occhi umidi e arrossati. Abbiamo dovuto dare forza a noi stessi
per non rimanere ossessionati ed inerti dinanzi a simile visione.
Noi, funzionari del Genio Civile di Roma, avevamo già
conosciuto gli orrori ed il tragico lavoro di sgombero e riparazioni nei
quartieri Tiburtino, Prenestino e Ostiense, ma non conoscevamo ancora le Città
completamente annientate, rase al suolo, come Velletri.
Il panorama delle rovine che noi invece abbiamo visto, ci ha
inorriditi, allucinati, spaventati. E non solo i nostri sensi sono stati
colpiti, ma il nostro animo ne è stato sconvolto, il nostro cuore si è
ristretto con un senso di angoscia che, purtroppo, perdura ancora.
Noi tutti (o quasi) abbiamo ben conosciuto il tragico
panorama delle strade sconvolte, dei monti grandi e piccoli di macerie grigie,
gialle, bianche e rosa: ma questi tenui colori non si distinguevano perché una
sola tonalità grigio gialla colpiva ed abbagliava i nostri occhi.
Nessuna vegetazione o qualche scheletro di albero: la vita
era cessata. Muri diroccati, facciate lesionate con niente dentro, file di
finestre vuote che sembrano tante orbite cave di teschi. Si entrava in edifici
che noi ancora ricordavamo in piedi, in palazzi, chiese, teatri, e vedevamo
l’immensità del cielo (unica consolante nota di colore) imponente su di noi,
fra il silenzio assoluto delle cose e degli altri uomini attoniti come noi.
Paesaggio da incubo, da ossessione, senza rilievi, piatto ed allucinante.
Questo era il panorama delle macerie che ognuno di noi ricorda con intensa
commozione e raccapriccio.
Questa era Velletri da Ponte Rosso a Ponte Bianco, a sinistra
villini diroccati a destra la strada franata, per terra nastri di
mitragliatrice, bombe a mano e granate, cannoni e carri armati.
A Piazza Garibaldi, l’Ospedale, uno dei più attrezzati e
grandi della Provincia, completamente distrutto;nei letti, sepolto tra le
macerie ancora qualche cadavere.
Via Menotti Garibaldi, i vicoli vicini, la Costa di Fagiolo
ecc., nono esistevano più. A metà del Corso Vitt. Emanuele, il transito era
interrotto per gli enormi cumuli di macerie fino a Piazza Cairoli, dove pochi
metri quadrati di suolo erano liberi per il passaggio pedonale. Tutti i palazzi
di Piazza Cairoli erano crollati e decine di vittime ancora giacevano sotto il
rifugio di Palazzo Boffi.
La bella scala del Palazzo Ginnetti e la Galleria erano
completamente distrutti insieme al gran parte del Palazzo.
La Fontana del Trivio, ridotta a massi informi e
sparpagliati. La Torre del Trivio, bella e potente costruzione romanica, illesa
nella sua struttura, ma sforacchiata e smozzicata dai priettili, mostrava tutte
le sue ferite sofferte. A destra, verso San Salvatore, il deserto con dune di
macerie alte quattro cinque metri e qualche scheletro di fabbricato sovrastante
le macerie: cadaveri ancora sepolti sotto queste.
A terra i fabbricati di Viale Margherita, Via Novelli, Vicolo
Moscatelli. Visione apocalittica di Piazza S. Martino dall’alto del Palazzo
Comunale distrutto, un burrone scosceso di calcinacci e massi fino a Corso
Vittorio Emanuele, dove la Caserma dei Carabinieri, Palazzo Romani, la Canonica
di S. Martino, anche esse in gran parte distrutte, sembrava che contenessero le
macerie che scendevano da Piazza del Comune. I quartiri intorno a Piazza
Mazzini, da via Furio a S. Francesco, da Via Borgia, da Via Portella a Via
Metabo e Piazza XX Settembre, cumuli di macerie e rovine
Le canoniche di S. Clemente, la sagrestia della Cattedrale,
parte dell’Episcopo e del Seminario distrutte.La bella Cattedrale gravemente
danneggiata nelle sue più importanti strutture.
Nella parte alta di Velletri, le zone fra Castello e Piazza
del Gesù, fra Via Andrea Velletrano e Via Paolina, le Carceri, le Scuole e la
Chiesa di San Lorenzo, distrutte e silenziose, il bel complesso rinascimentale
di Piazza del Comune, col maestoso Palazzo Comunale, insigne opera di valenti
architetti del ‘500 e ‘600, il Palazzo dei Conservatori, sede del Tribunale,
era tutto diroccato e pericolante, irto di travi e massi vacillanti: accanto il
Tempietto bramantesco di Alessandro da Parma e la Chiesa di San Michele Arcangelo
in gran parte rovinati.
Non un tetto era in piedi a Velletri: quelle poche tegole
rimaste erano meta di continui furti e devastazione di materiali delle case
diroccate. I ladri passavano da un fabbricato all’altro. Poche le finestre
rimaste: nessun vetro sano e, fino al 1947 anche le case riparate ne erano
prive con cartoni e legni per ripararsi dalle intemperie.
Sconvolte le strade cittadine e di campagna, dissestato
l’impianto idrico; distrutte o asportate tutte le tubazioni private.
L’illuminazione cittadina prima completamente assente poi
intermittente e scarsissima. Dovunque era silenzio e deserto, un po’ di
movimento nelle prime ore del mattino, ma la vita cessava alle tarde ore del
pomeriggio e un pauroso senso di solitudine e di morte incombeva verso la sera;
poi le tenebre regnavano sovrane.
Così abbiamo vissuto a Velletri subito dopo il giugno 1944, e
fino quasi al 1946>>.
Dalla relazione Angeloro apprendiamo inoltre che circa 2
miliardi furono spesi dallo Stato per far ripulsare il cuore di una Città di
circa 35mila abitanti.
La stampa italiana ed estera si occupò varie volte di
Velletri e della sua ricostruzione. Riporto qualche nota:
“L’Italia Libera” 20 giugno 1944 <<L’espressione rasa
al suolo può essere applicata senza riserva a Velletri. Assistiamo in questi
giorni al ripopolamento di quelle zone. I contadini già dal primo giorno della
Liberazione, ansiosi sono andati con passo cauto ciascuno alla propria vigna,
al proprio orto ancora insediati dalle mine e dai proiettili inesplosi, calcolando
mentalmente i danni subiti e quello che ancora da quelle terre valorizzate da
tanti sacrifici e da tanto sudore potevano ritrarre entro la stagione in
corso>>. IL “Risorgimento Liberale” 20-6-1944, parlando dello sbarco di
Nettuno e della guerriglia scrive che la Roma-Velletri venne messa fuori uso
per più di 5 giorni. In quei giorni si ebbero veri e propri combattimenti ad
Albano e scontri sanguinosi nelle campagne di Velletri nei quali tedeschi e
partigiani lasciarono molte vittime sul terreno
Il <<Corriere di Roma>> 31-07-1944 <<A
Velletri abbiamo visto degli uomini aggirarsi tra le macerie, esseri umani con
il loro sgomento davano vita ai luoghi>>.
Il <<Risorgimento Liberale>> 12-06-1944
<<Da Roma a Napoli non si incontrano che uomini poveri, uomini poveri
soltanto e non un animale che divida le loro disgrazie; tutti gli animali sono
scomparsi, mucche e buoi, maiali e galline razziati dai tedeschi, cani e gatti,
dagli uomini diventati poveri>>.
<<Il Reporter>> 16-10-1944 <<La guerra è
passata per i Castelli Romani con tutte le sue sciagure: su Velletri, per
esempio si è abbattuto l’orrore dei bombardamenti aerei, in Velletri si è
svolta la guerriglia e la rappresaglia contro la guerriglia. Le sue case sono
state ridotte in macerie dalle bombe che venivano dal cielo e dai proiettili
dei cannoni delle navi>>.
Le sue vie un dì così nobili strade della Toscana medioevale,
hanno visto la strage della rappresaglia teutonica;sono state teatro della
guerriglia e della guerra combattuta. Questa singolare Città, provata comme
poche altre, deve essere ricostruita>>.
<<Il Corriere d Roma>> 19-07- 1944 “A Velletri la
scala rinascimentale di Palazzo Ginnetti non esiste più, la sua polvere si è
confusa con quelle di tutto il paese”.
<<L’Unità>> 6-6-1944: “Roma è libera. Roma esulta
e finalmente respira, sollevata dall’angoscia di un lungo intollerabile incubo.
Torna sulle bocche di tutti i nomi consacrati dalle tappe eroiche della
vittoriosa offensiva i nomi della nostra Patria nomi di fama come Montecassino
o Velletri dove il sangue dei nostri fratelli dei nostri alleati ha schiuso il
vasco alla agognata libertà.
<<Cosmopolita>> 2-12-1944 “A Velletri, distrutta
quanto Pompei, i profughi rientrano a piccoli gruppi, vanno dalle macerie alle
loro case, con pochi assi improvvisano tra i muri pericolanti un tetto di un
paio di metri e da lì cominciano a seminare nuove piccole industrie. Sono
smunti, pallidi, affamati, ma vivono, persino sorridono>>.
La vita dei profughi a Roma, non fu certo lieta anzi, piena
di sofferenze ed umiliazione. Riportiamo alcune note di un giornalista che
aveva effetuto una visita nella Caserma di Santa Croce in data 11-11-1944.
Scriva: “E’ con le lagrime agli occhi che una vecchietta mi racconta il suo
caso. Sono mesi che siamo qui. A Velletri ci hanno distrutto la casa. Io e mio
marito ci siamo ammalati, io con le febbri malariche e lui con la bronchite.
Dovremmo bere del latte, ce lo ha detto il dottore, ma ce ne danno un quarto
solo al giorno in due persone. Non abbiamo neppure una coperta per coprirci,
alle finestre mancano i vetri, e mostra le due brande nude”.
<<Il Giornale del Mattino >>– ottobre 1944. “Il
disastro che ha colpito Velletri è immane. Questa popolosa e laboriosa
cittadina, centro di studi e ricca di storia e d’arte ha subito la violenza
delle operazioni belliche che l’hanno dilaniata così, nel cuore come in tutto
il sistema organico che le dava vita, una vita prosperosa e benessere, che
l’aveva consentito di emergere anche grazie al suo bell’aspetto edilizio ed il
suo grado culturale e la cordialità della sua popolazione, tra le più
progredite del Lazio. Case e Palazzi, Monumenti e Chiese, il turbine scatenato
della guerra ha travolto e schiantato e distrutto , lasciando la piaga tremenda
del suo passaggio là, dove poco prima un popolo laboriosa si raccoglieva sereno
nella sua parte maggiore intento a migliorare le condizioni delle sue ubertose campagne. Per sua mano sempre più si facevano
rigogliosa mentre giovani studiosi, commercianti saggi e professionisti
valenti, tenutesi al corrente dei movimenti culturali, industriali e forensi
dei centri maggiori, offrivano la testimonianza tangibile dei progressi
conseguiti dalla loro città in campo nazionale. Chi arriva ora a Velletri trova
una città distrutta, simile ad una Pompei dopo l’eruzione del Vesuvio”.
Renato Guidi aggiunge: “Nel chiudere queste note rievocative
una parola di ringraziamento al Ministro Andreotti per essersi ricordato di
Velletri; del valore e del sacrificio dei suoi abitanti. Ma da lui attendiamo
una nuova prova del suo interessamento, ed un atto di giustizia: la medaglia
d’argento deve dare il posto a quella d’oro che Velletri, questo atto di valore
civile militare, ha ben meritato.
Velletri era l’ultimo baluardo della difesa di Roma e Roma non può dimenticare
tale sublime offerta, tale smisurato olocausto di vite e di averi. A questo
punto non possiamo tralasciare l’opera assistenziale di alcuni sacerdoti
rimasti ininterrottamente sul posto del loro dovere. Tutti i giorni, sprezzando
i continui pericoli, hanno affrontato le più dure privazioni per portare il
loro aiuto materiale ed il conforto della Fede alle polo azione che si era
rifugiata in montagna o sparsa nelle grotte della campagna, aiutata dai nostri
generosi contadini. Fu proprio il loro aiuto ed i consigli di questi eroici
sacerdoti che cominciò a pulsare la vita nella martoriata Città di Velletri”.
L’ammontare complessiva dei danni strutturali ammontava a
superare i cinque miliardi di lire. Secondo la stima della Commissione Guidata
dell’ing. Andrea Angeloro del Genio Civile di Roma. Allora era una somma
impensabile che avrebbe dovuto dare l’idea dell’immenso danno subito dalla
nostra città. Ora soltanto, leggendo questo racconto vissuto come un tragico
destino da Renato Guidi e Padre Laracca, ma non solo essi.